
Cos’è e in cosa consiste il cohousing
Nel corso degli ultimi 2-3 decenni le nostre città sono cambiate molto, così come il modo di vivere il quartiere, il senso di comunità, il rapporto con il vicino di casa.
Senza voler scadere nella facile retorica, oggi siamo tutti un po’ più solitari, spesso alienati da ciò che ci circonda, e abbiamo smarrito le vecchie abitudini di buon vicinato.
Il fenomeno del cohousing parte proprio da questo punto, per provare a ricostruire un luogo in cui il senso di appartenenza e il sostegno reciproco torni al centro del vivere in comunità.
Di cosa parliamo in questo articolo
Cohousing non è sinonimo di “comune”
Attenzione, però, perché non va commesso il facile errore di associare il cohousing alle comuni, quei luoghi simbolo di un certo stile di vita tipico degli anni ‘60 e ‘70.
In quel caso, infatti, si condivideva tutto, e non c’era una separazione tra privacy e socialità.
Il cohousing, invece, si fonda proprio su questo equilibrio, questo mix di riservatezza e collaborazione.
Oltre all’aspetto, se vogliamo, poetico e nobile che muove i progetti di cohousing nel mondo, c’è anche quello più cinico e concreto, ovvero quello immobiliare e finanziario.
Approfondiamo insieme.
Cos’è il cohousing
Il termine cohousing nasce in Danimarca verso la fine degli anni ‘60, per indicare dei luoghi composti da case private inserite all’interno di un’area con spazi condivisi, a disposizione di tutti i residenti.
L’obiettivo, come accennato all’inizio del nostro articolo, era la creazione di un senso di comunità e di condivisione, uniti però a spazi privati e riservati.
Tutto ebbe origine da un articolo scritto da una giornalista danese, Bodil Graae, intitolato “Børn skal have Hundrede Foraeldre”, che tradotto in italiano vuol dire “I bambini hanno bisogno di 100 genitori”, con il quale spinse un gruppo di 50 famiglie ad organizzarsi in una comunità.
Così nacquero i progetti di cohousing Sættedammen e Skråplanet, ai quali i successivi si sono ispirati.
Nel corso degli anni il cohousing inizia a diffondersi nel Nord Europa, per approdare poi in Nord America verso la fine degli anni ‘80.
Giunto anche in Italia, non si è mai sviluppato come nel resto d’Europa, limitandosi a solo un paio di realtà operative.
Si tratta, quindi, di un fenomeno molto poco conosciuto nel nostro Paese, se non tra gli addetti ai lavori.
Però, siamo sicuri che se ne parlerà un po’ di più nei prossimi mesi, grazie ad una nuova serie tv disponibile su Rai Play, chiamata “Liberi Tutti”.
Creata dagli autori di Boris, la serie tv è ambientata, appunto, in un cohousing.
In cosa consiste il cohousing
Abbiamo raccontato, in sintesi, la genesi del cohousing, vediamo ora in cosa consiste, com’è organizzato e come ci si vive.
Il cohousing consiste in un agglomerato di case private, inserite all’interno di uno spazio – immagina un piccolo quartiere suburbano – dotato di strutture condivise, utilizzabili da tutti i residenti in egual misura.
Questi spazi condivisi consistono, in genere, in:
- una cucina, nella quale i residenti possono cucinare insieme per tutti, o per chi vorrà unirsi agli altri durante i pasti. Spesso ci si organizza in turni, in modo che chi cucina un giorno non debba farlo il giorno successivo, e così via. Nelle case, comunque, è sempre presente una cucina privata;
- una sala da pranzo;
- una sala giochi o un playground per bambini;
- laboratori, nei quali organizzare attività creative e artigianali;
- una o più camere per gli ospiti;
- una sorta di ufficio amministrativo e di gestione del cohousing;
- una lavanderia.
In media, un cohousing ospita dalle 10 alle 35-40 famiglie, a seconda ovviamente degli spazi a disposizione.
Infatti, uno dei principi alla base di queste comunità è l’attenzione all’ambiente e alla sostenibilità,per questo la popolazione deve essere adeguata alle risorse disponibili.
Il ruolo dei residenti
Se il cohousing si basa sul concetto di condivisione e senso della comunità, viene da sé che i residenti sono coinvolti, in prima persona, nella gestione e nella manutenzione degli spazi condivisi.
Ad esempio, sono i residenti ad occuparsi della pulizia, del giardinaggio, delle piccole riparazioni, del rapporto con eventuali fornitori, della cura dell’orto, e così via.
Per organizzare la vita nel cohousing, i vari residenti danno vita solitamente ad una associazione, che si riunisce periodicamente per discutere insieme.
Ma chi sono questi residenti?
Beh, potenzialmente tutti quelli che desiderano vivere in un ambiente socialmente disponibile, con persone che vogliono condividere una parte della loro vita insieme agli altri, aiutandosi e sostenendosi a vicenda.
Di certo, le persone schive e riservate non si sentirebbero a loro agio.
Potrebbero beneficiarne, ad esempio, le giovani coppie con figli piccoli, che avrebbero un luogo sicuro nel quale farli giocare e socializzare con altri bambini.
Non è da sottovalutare, inoltre, un aspetto organizzativo. Le famiglie moderne hanno quasi sempre entrambi i genitori impegnati in un’attività professionale, e spesso vivono lontano dai parenti.
Avere una rete di supporto, anche solo per fare da “baby sitter” qualche ora, risulterebbe molto comodo per loro.
Un’altra fetta di popolazione potenzialmente interessata alla vita nel cohousing è rappresentata dai pensionati.
Si tratta, in effetti, di persone che, non essendo più impegnate lavorativamente, potrebbero avere del tempo da dedicare alla cura degli spazi condivisi, ma anche il piacere e il desiderio di interagire con altre persone, allontanando lo spettro della solitudine e della depressione che spesso colpisce questa tipologia di persone.
Ovviamente, non ci riferiamo agli anziani non autosufficienti, per i quali risulterebbe forse più adatta una residenza assistenziale.
Il cohousing come opportunità di business immobiliare
Il cohousing può avere, dal punto di vista giuridico, due nature.
Può nascere come comunità intenzionale, ovvero un luogo in cui gli abitanti mettono in piedi un’attività professionale condivisa, ad esempio una azienda agricola. Rientrano in questa categoria i cosiddetti ecovillaggi.
Questo approccio, ovviamente, offre meno spunti per chi opera nel real estate, più interessati invece a considerare il cohousing come un nuovo modo di abitare, di concepire quindi il concetto di complesso residenziale.
In questo caso, infatti, è sufficiente vendere delle proprietà con spazi condivisi accessori, pensati e progettati in collaborazione con i futuri residenti.
Così facendo, ci si limita, da un punto di vista contrattuale e legale, a procedere con leclassiche modalità della compravendita immobiliare.
Gli spazi condivisi, quindi, sono assimilati agli spazi condominiali e ricondotti alle norme e ai modelli urbanistici esistenti.
Per la gestione del cohousing, come accennato prima, si può costituire un’associazione culturale, una cooperativa, oppure una fondazione.
Dal 1980 costruiamo e vendiamo case nella città di Roma e nei comuni limitrofi, con impegno, competenza e passione.
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